Home Pizza, pizzaioli e pizzerie “Crazy Pizza” di Briatore arriva a Roma: è subito polemica [Che Pizza – Il Podcast #26)

“Crazy Pizza” di Briatore arriva a Roma: è subito polemica [Che Pizza – Il Podcast #26)

di Giuseppe A. D'Angelo

Quando l’anno scorso Flavio Briatore annunciò l’apertura del suo formato Crazy Pizza a Londra, il mondo pizza italiano – soprattutto quello della capitale inglese – si rivoltò per un concept che valorizzava il lusso a discapito della qualità. In sintesi: la pizza costa cara ed è immangiabile.

Naturalmente molti hanno parlato anche senza averlo davvero mai provata: diciamo che bastava l’associazione con il personaggio a suscitare clamore. E il Flavione nazionale non ha mancato di scatenare un nuovo polverone ora che ha annunciato l’apertura di una nuova sede di Crazy Pizza a Roma, con alcune dichiarazioni che hanno lasciato interdetti molti dei pizzaioli della capitale (e non solo).

 “In Italia non esiste niente del genere […] È pieno di Pizza Antonio, Pizza Giuseppe. Non c’è un brand […] Vede, la pizza è uno street product, di solito te la portano su tavoli spogli o non apparecchiati, te la buttano là con un servizio approssimativo, roba che non ti invoglia a rimanere nel locale. […] La pizza è un prodotto importante, ma è presentato in modo cheap, noi gli abbiamo creato intorno un environment diverso”.

Queste parole non sono cadute nel vuoto, ma hanno ricevuto risposta da nomi come Stefano Callegari, Gino Sorbillo, Pier Daniele Seu ed Edoardo Papa. Ne parliamo in questa puntata di Che Pizza – Il Podcast, che potete ascoltare cliccando sul player Spotify in cima all’articolo. O di cui potete leggere la trascrizione qui sotto.

Simon: Amici di Che Pizza Podcast, bentornati ad una nuova puntata. Io oggi dovrei farmi doppiare perché ho una voce tremenda, sono dieci giorni che sono con la tosse e il raffreddore. Vero Peppe? Non mi si può sentire.

Peppe: Simon, e che ne so, non lo so, no, io ti sento benissimo, stai anche bene. Buonasera comunque, salve a tutti, perché tra l’altro forse a me non mi si sentirà molto bene perché ho il microfonino delle cuffie e mi sentirai in versione molto Lo-Fi.

Simon: Ti sentiamo benissimo, Peppe. Comunque il Lo-Fi va molto molto di moda.

Peppe: Va, è grande. Allora, appena farò il montaggio di questa puntata metto una bella traccia Lo-Fi sotto così la facciamo diventare sempre più… Facciamo diventare che pizza podcast il podcast che ti ascolti quando stai studiando. Quindi noi che parliamo con la traccia Lo-Fi sotto. Sai cosa diventiamo? Non so se tu l’hai sentito, quel pezzo, tre ore di Salvini che elenca cose, con Salvini che elenca cose con la traccia Lo-Fi sotto.

Simon: No, questo mi è mancato.

Peppe: Cercalo perché è fighissimo. Allora, noi dobbiamo diventare una cosa del genere. Tre ore di che pizza podcast con la musica Lo-Fi solo.

Simon: Lo cerco sicuramente. Ma ricordati anche che noi siamo i re del drive time. Probabilmente c’è gente che studia anche durante il drive time. Almeno io, insomma, quando facevo le superiori studiare.

Peppe: Io non consiglierei a nessuno che sta guidando di studiare. Cioè, guida, studia e ci ascolta anche. Diciamo, ragazzi, non fatelo, per favore. Sicurezza prima di tutto, mi raccomando. Concentratevi sulla guida, ascoltate noi, non studiate. Anche perché aprire un libro sul volante non è proprio la cosa più intelligente da fare mentre si porta la macchina. Quindi non so tu come facessi, Simon, oppure ho frainteso.

Simon: No, no, dicevo che studiavo. Sì, hai frainteso, studiavo alle cinque. No, no, non studiavo mentre stavo in macchina, no, no, assolutamente.

Peppe: Ah, ok, ma quanto sono fesso, va bene.

Simon: Simon, di che parliamo stasera? Proprio stasera parliamo di un personaggio che non ha assolutamente nulla a che vedere col mondo pizza. O forse sì. Stasera parliamo, attenzione, niente popò di meno che di Flavio Briatore.

Peppe: Aspetta però Simon, scusami, cosa mi sta diventando questo podcast? Perché dovremmo parlare di Flavio Briatore? Sentiamo, adesso mi devi giustificare perché parliamo di Flavio Briatore. Adesso cominciamo pure a parlare, che ne so, dei tronisti di uomini e donne, va, se parliamo di Flavio Briatore. Ti ricordo che Simona ci aveva detto che noi abbiamo una mission serie e parliamo di Flavio Briatore. Come me la giustifichi questa cosa?

Simon: Te la giustifico perché in realtà Flavio Briatore c’entra qualcosa nel mondo pizza. Perché a quanto pare, e devo dire che io fino a pochi giorni fa questo lo ignoravo quasi, cioè ne avevo sentito parlare alla lontana, Flavio Briatore tra le sue mille attività è anche proprietario di una catena di pizzerie che ha un nome, sì, che ha un nome che è tutto un programma perché si chiama Crazy Pizza… sai quella amica crazy, a me fa pensare quella che dice “siamo un po’ pazze” mi fa subito venire in mente l’addio al celibato con i palloncini a forma di pene per…

Peppe: Non dire altro, ecco, stiamo per diventare appunto un podcast vietato ai minori. Va bene, va bene, Flavio Briatore, peni, perfetto, ok, abbiamo preso proprio un bellissimo avvio.

Simon: Comunque, Flavio Briatore ha questa catena Crazy Pizza che, a quanto ho letto fino adesso, si era tenuta ben lontana dai confini italiani o forse era sbarcata solo in quell’enclave per straricchi, zona extraterritoriale che è Porto Cervo, ma non sono nemmeno sicuro di questa cosa, devo verificare.

Peppe: Allora, io ti stavo sfottendo prima sulla questione che non conoscevo la catena di Briatore. Crazy Pizza ha aperto a Londra l’anno scorso, se non mi sbaglio, sì. e ha suscitato un clamore pazzesco, perché hanno cominciato a girare le prime foto della pizza che si fa in quel locale e sono di quelle pizze che tu ti aspetteresti che uno come Flavio Briatore venda, soprattutto in quel di Porto Cervo, cioè in Sardegna, che è una regione che non è proprio conosciuta per l’altissima qualità della pizza. Anche se, anche se, ecco adesso se ci sono degli amici sardi all’ascolto non vorrei prendermi qualche bestemmia, qualche maledizione, perché in realtà anche là si sta muovendo qualcosa, ma ne parleremo in altre occasioni. Diciamo che se si prende ad esempio un luogo d’Italia dove si mangia male la pizza, quella è la Sardegna. e a quanto pare la pizza di Crazy Pizza risponde proprio allo stereotipo della pizza sarda, o comunque della pizza di cattivissima qualità. Io, nonostante sia andato tante volte a Londra, purtroppo non ho avuto modo di assaggiarla perché in realtà ha aperto l’anno scorso quando eravamo in regime, o meglio, non in regime di pandemia, se non mi sbaglio ha aperto dopo il primo lockdown, ma io sono tornato a Londra l’ottobre scorso per due giorni, figurati se in due giorni andavo a mangiare da Crazy Pizza, nonostante io conosca il pizzaiolo che lavora da Crazy Pizza a Londra. Chef Giorgio Riggio, bravissima persona, ti direi anche grande pizzaiolo, però purtroppo non ho avuto il piacere di mangiare la sua pizza, e uno dei miei obiettivi è infatti andare da Crazy Pizza a Londra proprio per poter dire ho mangiato la pizza di Crazy Pizza.

Simon: Ma in realtà io sono anche andato sul sito di Crazy Pizza e, diciamo, la mission, come si vuol dire in questi casi, è abbastanza chiara. Insomma, sicuramente non è che si vendano come pizzeria napoletana. Chiaramente si vede, visto il personaggio, tra l’altro, niente di male. Insomma, il claim sul sito di Crazy Pizza è «The Italian party you want to be a part of». Quindi, clima…

Peppe: Guarda che accento, Simon, mi hai fatto sciogliere tutto con quel British American English. Non so, non ho riconosciuto l’accento, però mi ha… mi ha… mi ha rabbrividito.

Simon: Roman American English, Peppe. Roman American. Comunque, video, belle ragazze, pizzaioli che fanno girare la pizza, bengala sulle bottiglie, location, due a Londra, Monte Carlo, Porto Cervo, Qatar e Arabia Saudita, coming soon. Quindi, insomma… chiaramente il posizionamento è chiaro.

Peppe: Ed è anche roba per gente che ha i big money.

Simon: non so se non so se sia necessariamente da big money comunque parlano parlano chiaramente di “thin-crust pizza” dalle foto si vede questa pizza che potrebbe passare come una pizza molto simile a quella romana quindi bassa scrocchiarella e fin qui non c’è niente di male. Il problema è che il nostro amico Flavio, che non è nuovo a uscite di questo tipo, parlando ai giornali dell’apertura di questo suo locale che apre a Roma, a Via Veneto, che è la via che molti ricorderanno come la via della dolce vita, dove si giravano i film, dove c’erano i locali storici che invece adesso, e lo dico per esperienza diretta, è praticamente abbandonata a se stessa, nel senso che sono rimaste solo le reliquie di questo passato grandioso, ma sono sopravvissuti solamente pochissimi locali storici, il resto sono più o meno trappole per turisti. Io personalmente da romano non andrei mai a mangiare in un bar a Via Veneto. E invece Flavio Briatore, con probabilmente una buona dose di coraggio, ha deciso proprio di aprire a Via Veneto e nell’aprire il suo locale ha dichiarato che lui ha deciso di aprire questa pizzeria a Via Veneto per rilanciare la pizza che è un prodotto importante ma presentato in modo cheap con un servizio approssimativo, roba che non ti invoglia a rimanere nel locale. Quindi diciamo che non c’è andato proprio piano, e è andato a stuzzicare una categoria che è quella dei pizzaioli, che tu concorderai con me, Peppe, anche a Roma ha degli esponenti non certo da… non di riguardo e non hanno tardato ad arrivare le repliche di alcuni dei nomi più importanti del panorama della pizza nella capitale e non. E chiaramente queste repliche sono andate dal cordiale “benvenuto Flavio, siamo contenti di assaggiare la tua pizza, ma vieni assaggiare la nostra per vedere che la pizza a Roma è tutt’altro che cheap e con servizio approssimativo”, ad altri che invece ci sono andati un po’ più pesanti, a cominciare da Gino Sorbillo, ad esempio.

Peppe: Vabbè, figurati, non mi sorprende che anche lui abbia dovuto dire la sua.

Simon: Sì, beh, Gino Sorbillo ha esordito con “caro Flavio, la madre di tutte le pizze è soltanto napoletana e…”

Peppe: E va bene, dai, allora scadiamo solo nel classico stereotipo del pizzaiolo napoletano che dice pizza napoletana uber alles e da napoletano, te lo dico, questa cosa ha un po’ rotto, sinceramente, poi lascia stare che… non stiamo parlando di quello, però dà un Sorbillo che già di suo deve sempre avere la risposta pronta, perché quando si parla di pizza lui ci deve essere, però mi aspettavo qualcosa di un po’ meno scontato.

Simon: Sì, tra l’altro adesso non so se il virgolettato è corretto, ma dice anche che la mamma di tutte le pizze è napoletana, ha conquistato il mondo ed è patrimonio UNESCO.

Peppe: Mi si sta spaccando il cuore e sto avendo un travaso di bile nel fegato nello stesso momento. Allora, guarda, però posso dirti una cosa. Mi farebbe strano che Sorbillo facesse un errore del genere. E io sono quasi sicuro, anche perché l’articolo che mi stai citando non l’ho letto, ma sono quasi sicuro che sia un virgolettato sbagliato di un giornalista abbastanza ignorante, perché come abbiamo parlato nella puntata dedicata all’arte della pizza napoletana patrimonio UNESCO, che vi invitiamo ad andare a riascoltare, questo era un equivoco ed è tutt’oggi un equivoco molto comune. Io ho il forte sospetto che Sorbillo non l’abbia detto.

Simon: No, dubito anch’io, dubito anch’io. Però torniamo a Roma e comunque Gino Sorbillo dice “l’Urbe ha una buona pizza, anche di scuola romana, ci sono pizzaioli degni di grande attenzione che hanno conquistato importanti riconoscimenti e grandi invenzioni come il trapizzino”. E poi, tornando a Briatore, dice “lo spazio che vorresti colmare è tutt’altro che vuoto, Roma ha una forte identità anche nella pizza”. Io, onestamente, a parte la mamma di tutte le pizze, la napoletana, che probabilmente è vero però non credo che sia tanto nel contesto di questa risposta, mi sento di concordare al 100% con Sorbillo, nel senso che veramente, se Briatore pensa di arrivare a insegnare a Roma come si serve una buona pizza, come si possa costruire anche un concetto di ristorazione interessante, innovativo, basato sulla pizza, mi sa che arriva un po’ tardi.

Peppe: Quoto anch’io, però il mio però non riguarda l’identità forse della pizza romana perché quella esiste, sono d’accordo al 100% con Gino Sorbillo, ma come chiunque abbia mai vissuto anche solamente una settimana a Roma. Più che altro però mi rifarei alla questione della qualità dei locali. E non lo dico perché Roma, ma perché la stessa Napoli, la stessa Campania, la stessa Italia, anzi lo stesso mondo, non ha visto in realtà questa grande qualità nei locali dedicati alla pizza. Per fartela breve, l’accostamento pizza e locale un po’ più ricercato è recente.

Simon: Sì, ma è tutt’altro che sconosciuto qui a Roma. Infatti, tra le altre risposte, c’è quella di quello che secondo me è il re della pizza un po’ mondana a Roma, che è Pier Daniele Seu di Seu Pizza Illuminati. Anche lui risponde un po’ stizzito, a Briatore, dicendogli che nella capitale la pizza da una decina di anni rasenta quasi la perfezione, a livelli stellati per qualità, tecnica, servizio, carta dei vini e così via. Si pensa sempre…

Peppe: Sta parlando del suo locale?

Simon: No, io penso che stia parlando del panorama della pizza in genere e conclude invitando Briatore a documentarsi prima di parlare e magari fare pure una bella ricerca di mercato. Io devo dire che, avendo visitato da poco per la seconda volta Seu Pizza Illuminati non posso che concordare, è sicuramente un locale curato, con un servizio che va ben oltre gli standard della classica pizzeria. Si vedono clienti che ordinano bottiglie anche importanti. C’è un altro tipo di locale, così è Roma, che tra l’altro ha aperto da pochissimo, da nemmeno due anni, e ha già due location, che è Sant’Isidoro, Pizza e Bolle. Che già nel nome racchiude appunto questa voglia di portare la pizza a un livello superiore, quindi non associata alla classica pizza e birra ma buone bottiglie di spumante, addirittura cocktail. È comunque un locale che finito il servizio di pizzeria si trasforma anche in un bar dove la gente va semplicemente a bere, quindi anche qui servizio tutt’altro che trasandato e tutt’altro che da pasto veloce. Anche qui penso che Briatore sia andato a toccare un nervo scoperto. Certo, io penso che lo standard che possa assicurare un profilo del suo tipo sarà probabilmente ancora più, diciamo, mondano, ma credo anche che sia un tipo di ristorazione che non colpisce tanto in Italia, perlomeno.

Peppe: Più che altro il concetto di chic abbinato a Briatore io non lo associerei mai a locali come quello di Seu che purtroppo io ancora non ci sono stato però me ne hanno detto bene. Ma non è neanche la questione di essere andato particolarmente da Seu, quanto uno dei tantissimi locali che fanno parte del cosiddetto mondo della pizza contemporanea che se una volta questo termine veniva utilizzato solamente per parlare del prodotto oggi si è ulteriormente evoluto e possiamo parlare di pizzeria contemporanea proprio perché la pizzeria non è più quel luogo, quella bettola di massa dove appunto si va per comprare una margherita a tre euro e nutrirsi, fondamentalmente; ma si va per avere un’esperienza, un’esperienza che oggi come oggi è caratterizzata principalmente dal servizio, dalla carta dei vini, da piccoli tocchi sul menu. Però queste cose io non le chiamerei chic, mentre invece lo chic di Briatore io lo associo, mi perdonerai la brutalità, ma da bravo piccolo medio borghese ti dico la tamarragine dei ricchi, che è la tamarragine dei ricchi alla Briatore. Ecco, perché adesso non scadiamo nel facile stereotipo che se sei ricco sei un tamarro, no, però il mondo che gira attorno a Briatore è quello fondamentalmente, dal mio umile punto di vista.

Simon: Ma diciamo che io ho avuto modo, come sicuramente anche tu lo avrai avuto Peppe, di trovarmi a volte invitato o trascinato in qualche pizzeria in Germania o in Spagna o addirittura negli Stati Uniti, che si prefissava l’idea di fare una pizza un po’ di lusso. E onestamente, a parte delle pizze molto piccole, non particolarmente buone, e a volte con qualche ingrediente esotico tipo tartufo o magari pesce crudo non è che sia mai rimasto particolarmente colpito. Mi ricordo un paio di esperienze, soprattutto a Barcellona o in Germania, di pizza in locali fighissimi in centro con ambientazione da discoteca. È stata per lo più fastidiosa come esperienza, credo che sì, magari potremmo essere accusati di, non so, boomerismo, di essere degli odiatori del divertimento, dei fun hater, per dirla in inglese, ma io penso che quando si cerchi di creare un contorno intorno a un concetto centrale che è piuttosto debole, le basi non siano molto solide. Ma ti volevo leggere le ultime due reazioni, soprattutto una, proprio perché è stato anche addirittura citato in causa da Sorbillo, che è quella di Stefano Callegari. Stefano Callegari, che è tra l’altro l’ideatore del Trapizzino che ha citato Gino Sorbillo, rincara la dose perché non solo dice che Briatore ha completamente sbagliato la mira, ma dice anche che Roma in sé come città è un po’ cinica e pratica e la gente non vuole tante sovrastrutture ma desidera stare tranquilla e godersi una buona pizza. E cita una pizzeria storica di Trastevere che si chiama Ai Marmi che è una delle pizzerie, credo, più antiche della capitale, dove il servizio è velocissimo, senza fronzoli, tavoli appunto di marmo, ai miei tempi si chiamava addirittura all’obitorio, perché sembravano proprio i tavoli in obitorio. Pizza rigorosamente romana, bassa, fritti, vino nella brocca, mezz’ora mangi e te ne vai, sempre completamente strapiena e frequentatissima.

Peppe: Quindi qual è il messaggio di Callegari?

Simon: Beh, il messaggio di Callegari è che il romano… a me piace soprattutto la sua definizione di romano un po’ cinico e un po’ pratico. Io ho una teoria che il romano, essendo abituato a vedere più o meno tutti i giorni, o comunque a stare a contatto con questa grandiosità dell’antica Roma, sia molto molto cinico, nel senso che si fa fatica a sorprendere un romano. Io, una delle mie attività preferite quando viaggio è sentire i commenti dei romani che riescono ad associare qualsiasi cosa a un monumento, un panorama, un luogo che sta a Roma. Credo che l’unico posto dove non sono riuscito a sentire un romano fare questa associazione è stato al Grand Canyon. Lì non c’è nessuno che ha detto, vabbè ma questo è come Villa Borghese, perché obiettivamente la scala, le dimensioni, però cioè dalla Fifth Avenue a New York alla Sagrada Famiglia a Barcellona, ho sentito che era come se ti fanno vedere San Pietro ancora con le impalcature. Il romano rade subito al suolo la sua struttura, va all’essenza delle cose e diceva che era una chiesa, la state costruendo. Grazie, arrivederci. Credo che questo spirito si veda anche nel tipo di ristorazione che ha successo comunque a Roma. Ecco, pensiamo anche a realtà come Seu, come Sant’Isidoro, dove sono comunque realtà con un ambiente molto curato. Tra l’altro, non so se sai che tra i soci di Sant’Isidoro c’è anche un attore famoso di cui adesso non mi ricordo assolutamente il nome, ma tra l’altro un attore bravissimo, italiano, di diversi film.
Peppe: Pierfrancesco Favino.

Simon: Assolutamente no, ho completamente un vuoto di memoria, comunque ha fatto Suburra, su Netflix, film con Ferzan Ozpetek, che prima o poi mi ricorderò come si chiama, ma non ora.

Peppe: Non credo che sia Stefano Accorsi.

Simon: Stefano Accorsi è molto più giovane, è bravissimo. Lo dico se qualche ascoltatore si ricorda il nome, è quello che faceva il personaggio di Aureliano nella serie Suburra.

Peppe: Se qualche ascoltatore si ricorda il nome, scrivete Simon, sei un caprone, informati prima di parlare.

Simon: È scandaloso che io non me lo ricordi, è letteralmente un vuoto.

Peppe: E sei di Roma, porca miseria.

Simon: Esatto. Comunque dicevo, quindi questo attore è stato presente nella promozione, è chiaro che il target si è un po’ mondanizzato, fammi passare il termine, però comunque alla base resta un prodotto di altissima qualità. A Sant’Isidoro fanno una pizza contemporanea con impasto ad alta idratazione che, devo dire, è una tra le più buone pizze di quel genere che io abbia mai mangiato a Roma. Quindi, assolutamente tanta cura nel locale, ma anche tanta sostanza.

Peppe: Scusami Simon, io ho sempre una considerazione riguardo a quello che ha detto Callegari. Dicendo che comunque il romano è cinico e pratico e va all’essenza delle cose, non sta in qualche modo giustificando in realtà la scelta di Briatore di voler introdurre un elemento di… di lusso nel mondo della pizza, perché in pratica sta dicendo, se al romano gli piace la trattoria e in tal modo Briatore sta arrivando e dicendo sdoganiamo che Roma vive solo di trattorie, facciamo anche una pizzeria chic. Non mi sembra che abbia portato molto gioco al discorso contro Briatore.

Simon: Ma in realtà Stefano Callegari penso che parlasse più delle sovrastrutture. Credo che lui si riferisse più ai bengala legati alle bottiglie che si vedono nel video promozionale di Crazy Pizza perché in realtà…

Peppe: Io non l’ho visto tra l’altro quindi sono molto curioso di andare a vedere.

Simon: Ma vallo a vedere sul sito. E comunque lo linkiamo anche nella bio perché non vorremmo assolutamente che eventualmente Crazy Pizza non si accorgesse di noi e Flavio Briatore in persona volesse venire ospite di Che Pizza Podcast per replicare.

Peppe: Io ti direi che dobbiamo andarlo a intervistare dopo una puntata del genere.

Simon: Possiamo provare, Peppe.

Peppe: Smontiamo prima il progetto Crazy Pizza e poi lo andiamo a intervistare.

Simon: Sky is the limit, Peppe. Ricordati.

Peppe: Che poi tra le altre cose non stiamo smontando niente qua perché per poterne parlare con cognizione di causa dovremo effettivamente andarci, mangiare la pizza e vivere l’esperienza. Qua stiamo ragionando solo sul concetto, soprattutto sulla base della notizia che mi sta riportando.

Simon: E lo faremo, Peppe. Ci metteremo la camicia bianca con il colletto alto quattro dita Noleggiamo una Ferrari così possiamo parcheggiare davanti e andiamo a provarla. Io penso che in realtà Stefano Callegari volesse in maniera un po’ più velata provocare e punzecchiare Briatore sul fatto che i romani si accorgono molto molto facilmente di quando qualche cosa è un po’ troppo pompato e c’è un po’ di fuffa. Anche perché proprio ad esempio Stefano Callegari, che comunque appunto è un imprenditore di successo nel mondo della pizza, ha Trapizzino, ma alcune delle pizze nel suo menù sono realizzate in collaborazione con vari chef di varie realtà della capitale, anche non molto ovvie. E quindi il mondo della ristorazione romana è tutto tranne che legato solo al concetto di trattoria. Certo, sicuramente c’è questo luogo più o meno comune che a Roma si mangia bene, si mangia tanto, si mangia pesante, si spende poco. Io devo dire soprattutto grazie al mondo pizza ho conosciuto invece tantissime realtà di tantissimi piccoli ristoranti anche magari bar, pasticcerie, collaboratori molto specializzati che magari collaborano con alcune pizzerie, appunto mi viene da dire con Stefano Callegari, ma anche con pizzerie come 180 Grammi e altre del panorama romano che fanno un concetto di ristorazione che è totalmente opposto, insomma, all’immagine poco curata, magari grossolana che si può avere. Quindi credo che in realtà Stefano Callegari abbia lanciato una minaccia molto meno velata di quanto possa sembrare. Secondo me ha detto “occhio che i romani la sola la fiutano a chilometri di distanza”. Mentre invece l’ultima reazione pubblicata in questo articolo…

Peppe: Sono curioso di vedere di chi è l’ultima reazione, perché comunque fino adesso i nomi che mi hai citato non mi hanno sorpreso. Però ecco non mi viene in mente nessun altro nel panorama romano che possa rispondere così a Briatore.

Simon: Ma l’ultima reazione in realtà è di un pizzaiolo che io non conosco bene, si chiama Edoardo Papa ed è l’anima di un locale che si chiama In fucina che sono andato a vedermi e sembra molto molto interessante. Edoardo Papa, diciamo, è l’unico ad essere vagamente benevolo con Briatore, rispondendogli che loro sono i primi ad essere convinti che più stiamo e meglio stiamo se la pizza è di livello, ovviamente. “Gli farò i complimenti a Briatore se la sua pizza sarà buona”. Però anche lui poi ci va giù pesante dicendo “noi non abbiamo nulla della classica pizzeria, quella con un taglio low profile, la mise en place da ristorante stellato e ad esempio dopo il 19 di dicembre chiuderemo per prepararci a nuove avventure”. Questa della chiusura ad un certo punto della stagione è effettivamente una cosa che fanno tipicamente i ristoranti stellati. Diciamo quindi che Edoardo Papa è quello che appunto dà un po’ più una possibilità a Briatore: “gli farò i complimenti se la sua pizza è buona”. Anche qui però, secondo me, l’avvertimento c’è ed è “se la tua pizza non è buona, per noi non conta nulla tutto quello che c’è intorno”.

Peppe: Certo, alla fine il succo è sempre quello. Il prodotto è la base di tutto. Se manca quello, crolla il castello di carte. Hai voglia ad avere il bengala sulla pizza, le ballerine di contorno o anche il tipo, il cameriere che ti stappa, il Merlot del 1923 con un fare molto arrogante. In realtà serve a ben poco se stai mangiando una sola.

Simon: Qui trovo un altro virgolettato di Briatore. Torniamo a lui, torniamo all’uomo. Qui secondo me fa un discorso che è un po’ il tipico discorso da Flavio Briatore, anche un po’ provocatore, che dice: “Roma è piena di pizzerie, ma di Pizza Antonio o Pizza Giuseppe non c’è un brand”. Beh, anche qui…

Peppe: Già, qui l’ha sparata grossa. Eh, sì. Se già consideri che Callegari da solo ne ha tre di brand.

Simon: Esattamente, esattamente. Sono riuscito a mettere le mani anche su un menù di Crazy Pizza.

Peppe: No, sei proprio un reporter d’assalto. Non siamo ancora riusciti ad andarci a mangiare, però hai anche accesso ai menu.

Simon: Sono un reporter d’assalto. Disclaimer, non sono sicuro che i prezzi siano in euro. Potrebbero essere in sterline, ma non credo. Comunque, una pizza margherita da Crazy Pizza costa 15 euro ed è la pizza più economica. Anzi, la pizza più economica è la Pomodoro. che è fondamentalmente una marinara e costa 14 euro quindi le pizze partono da 14-15 euro. Si sale immediatamente in rapidissima ascesa ai 20 della rustica, 24 per la burrata – ovviamente con la burrata che non poteva mancare – e poi abbiamo diciamo le due, anzi le tre campionesse che sono la Pata Negra con prosciutto iberico 36 euro; la tartufo che è semplicemente una margherita con scaglie di tartufo nero 48 euro e ben 56 euro per una pizza con salmone affumicato e panna acida e 10 grammi di caviale. Direi che se c’è una cosa di crazy di questo locale sono forse un po’ i prezzi, calcolando che ad esempio dal già citato Seu si mangiano tranquillamente fritti, pizza, birre e quant’altro per i classici canonici 25-30 euro a testa.

Peppe: Abbiamo comunque sempre ancora l’incognita se quelli fossero euro o sterline perché in pound una margherita a 15 euro non ti dico che è la norma ma quasi si avvicina, perché i prezzi sono aumentati parecchio soprattutto dalla Brexit. Però non è mai tanto il prezzo, ma cosa ottieni per quel prezzo. E mi riferisco non solo alla qualità del prodotto, ma anche al contorno di cui parlavamo. C’è da dire che comunque chi frequenta un locale di Briatore è un certo tipo di cliente, quelli che per noi possono sembrare dei prezzi allucinanti, probabilmente per loro sono una mancia al cameriere e forse io la sto vedendo con una visione un po’ troppo manichea, una classica distinzione di ricchi contro poveri, però sta di fatto che un certo tipo di locale attira un certo tipo di clientela. E ripeto, lo chic di Briatore non è eleganza, è qualcosa che va oltre, è qualcosa che è eccessivo, anche eccessivo nel gusto. Perché poi, ripeto, non è nemmeno la questione di cosa vogliamo stabilire che sia elegante o cosa vogliamo stabilire che sia una tamarrata. È proprio una questione di essere in target o meno. E probabilmente, io che non sono nel target, a un locale come Crazy Pizza non mi ci avvicinerei nemmeno. Non è una questione dei prezzi di per sé o della qualità del tipo di pizza, ma è proprio tutto il contesto che non mi attirerebbe, a meno che il prodotto non fosse di una fattura così elevata da permettermi di accettare anche un certo tipo di ambiente che magari a me non va tanto giù. Però se il prodotto regge e dico ok per quella sera io voglio anche mangiare una signora pizza. Però io ho visto le foto di Crazy Pizza, cioè io a quelle non gli darei manco tre euro.

Simon: Comunque ti confermo che i prezzi che abbiamo citato poc’anzi sono in euro.

Peppe: Ah bene, benissimo. E al giorno d’oggi chi è che ha 15 euro da spendere per una Margherita? Facciamocela questa domanda.

Simon: Non lo so, per una margherita poi probabilmente non eccezionale, ma insomma questo… No.

Peppe: Io la sottolineo questa cosa perché se anche vogliamo levare tutto l’elemento Briatore e vogliamo concentrarci solamente sul prezzo della pizza, ci sono comunque delle realtà di pizza anche in campagna che hanno portato i prezzi un poco all’estremo, ragionando sul discorso della qualità degli ingredienti, del lavoro dello chef e tante altre cose sulle quali dovremo dedicare una puntata a parte. Ma non sono mai stati raggiunti 15 euro per una Margherita. Dovrebbero veramente avere una variegata particolarità di pomodori in via d’estinzione per poter giustificare un prezzo del genere. Ma non credo che ci sia un essere umano di fascia media che spenderebbe mai 15 euro per una Margherita.

Simon: Peppe io dico che quando aprirà a gennaio bisognerà sacrificarsi e andare. Volevo iniziare a chiudere questa divertente puntata, direi, in cui abbiamo parlato per la prima volta di un personaggio così al di fuori del mondo pizza, delle sue, concedimi il termine, sparate sulla pizza, proprio con un ultimo virgolettato del buon Flavio, che dice: “Noi abbiamo pensato di fare una pizzeria chic, blanche”, che non so cosa voglia dire.

Peppe: Non so se tu parli francese. Blanche.

Simon: Branche, branche. Branche, branche.

Peppe: Vedi, il suo linguaggio mi sta proprio antipatico.

Simon: Anche a me, ma continuiamo con quest’ultimo virgolettado del Flavione nazionale. “Serviamo ottime pizze in un posto elegante con un servizio impeccabile. La pizza è un prodotto importante, ma è presentato in modo cheap. Noi gli abbiamo creato intorno un environment diverso”. La parola inglese ci voleva perché fa tanto agenzia di marketing, e qui devo dire che probabilmente anche noi ci siamo cascati come tonni nella rete perché comunque gli abbiamo, volenti o nolenti, appena dedicato una puntata. Ma l’abbiamo fatto cercando di andare un po’…

Peppe: Io non la volevo fare, che sia messo agli atti che io non volevo parlare di Briatore.

Simon: E io invece la volevo fare e vedrai che quando Briatore verrà a aprire Crazy Pizza a Napoli a Via dei Tribunali ne vorrai fare un’altra.

Peppe: Senti, io penso che a Napoli lo cacciano a botte di corna e di cartoni di pizza. Guarda, non saprei nemmeno che tipo di reazione si potrebbe avere, ma se a Napoli non sono riusciti ad accettare i KFC o i Domino’s, non penso proprio che possa arrivare un Briatore qualsiasi.

Simon: Peppe, ma secondo te è possibile commissionare a un artista di statuette dei presepi una statuetta di Briaatore pizzaiolo e poi fargliela avere?

Peppe: Questa è una bella idea. Intanto le statuette di Briatore ci sono. Non mi stupirei se qualcuno avesse pensato anche alla forma di Briatore pizzaiolo, però lui non è pizzaiolo, è un imprenditore… Cioè bisognerebbe effettivamente commissionarla apposta, mandargiela, non si sa dove, e così lo invitiamo ufficialmente come ospite del nostro podcast, perché quella sì che sarebbe una puntata! Capire il punto di vista dell’imprenditore che mette in piedi un progetto del genere, il concept dietro, e il marketing di certe boutade alla stampa. Perché poi, parliamoci chiaro, è marketing questo. Briatore è consapevole del suo prodotto, ha semplicemente messo in pietra il classico locale esclusivo per ricchi. Mi dispiace, sarò molto ripetitivo, però io non vedo un progetto dietro Crazy Pizza, io vedo semplicemente, ok, ho le discoteche, ho gli hotel, adesso ho anche le pizzerie. E questo è il concept, è il concept Briatore, non è il concept pizza.

Simon: Sicuramente è anche il marketing di questo tipo di iniziative che comunque alla fine ci frega a tutti perché, ripeto, comunque abbiamo dedicato una puntata all’argomento per quanto cercando appunto di scavare un po’ intorno a quello che c’era sopra. Volevo chiudere con un paio di riflessioni. Primo, quando faranno la nostra statuetta a San Gregorio Armeno, io ci vedo una bella statuetta a noi con le cuffie e con i microfoni, chissà. Non conosci nessuno, Peppe? La possiamo commissionare?

Peppe: Tu puoi commissionare quello che vuoi, basta che lo paghi.

Simon: Ah, perfetto, perfetto. Ricordiamocelo quando faremo il merchandising di Che Pizza Podcast, la statuetta del presepe non potrebbe mancare. No, e poi volevo dire, l’ultima cosa, l’ultima cavolata che volevo dire è che probabilmente se dovessimo intervistare Briatore abbiamo sicuramente bisogno di un tavolo triangolare. Non so te, ma io tutti i podcast che vedo di successo hanno un bel tavolo triangolare dove mettere da una parte i conduttori, da una parte gli ospiti e dall’altro lato, diciamo, dal terzo lato del triangolo c’è la camera.

Peppe: Ma scusami, Simon, il podcast per definizione non si vede. Come hai fatto a vedere un podcast col tavolo triangolare? Tu vai su Twitch, tu sei uno di quelli che va su Twitch.

Simon: No, no, no. Io sono troppo vecchio per Twitch, ma tanti podcast li vedo o li scopro su YouTube. e lì vedo proprio un fiorire di tavole triangolari bellissime.

Peppe: Vabbè, dobbiamo vedere se Ikea ha già cacciato il suo modello di travoli triangolari.

Simon: Podcasting table col buco per il mixer.

Peppe: Ma allora, visto che comunque stiamo andando in chiusura, intanto devo dire che questa puntata mi ha infervorato abbastanza. Non so se si sente che sono molto innervosito da Briatore che fa la pizza e fa certe dichiarazioni. E quindi in fase di montaggio io metterò la musica Lo-fi, per rilassarmi, rientrare nel mood. E ti dico una cosa, mentre siamo con la musichina sotto che va, dobbiamo fare una cosa che non abbiamo mai fatto. Noi generalmente invitiamo le persone a iscriversi al canale Telegram, iscriversi al podcast e tutto, però probabilmente facciamo troppe call to action e il marketing insegna che bisogna fare una call to action. Allora per questa volta dobbiamo dire che dobbiamo dire una cosa che non abbiamo mai detto, se l’abbiamo detto non ricordo ed è: fateci una recensione, che al momento si può fare solamente su Apple Podcast. Perché dico “fateci una recensione”? Perché sono andato a vedere che noi abbiamo ben tre recensioni del nostro podcast. Ne vorrei leggere una, proprio per invogliare il nostro pubblico a lasciarci qualche parolina di supporto perché fanno sempre piacere. Questa prima recensione si intitola “Esemplare”.Ccioè ti rendi conto il nostro podcast è stato definito esemplare, 5 stelle, e io mi gaso solo con questo titolo. Te la leggo. “Interessante, ben condotto da Simon e la recente inclusione di Pizza DIXIT, ospiti ben assortiti, chiacchierate fruibili ma mai banali, davvero un ottimo esempio di come fare podcast sul mondo pizza e non solo. Complimenti!”. Allora, tralasciando il fatto che tu hai un nome e io invece sono Pizza DIXIT, però… è una recensione stupenda, ce l’ha lasciata Nick, su Apple Podcast, che al momento, nel mondo DEL podcasting, è l’unica piattaforma che permette di lasciare recensioni, se non mi sbaglio. Sbaglio, Simon?

Simon: No, sbagli Peppe, perché da oggi, proprio da oggi, lunedì 20 dicembre, si possono lasciare non delle recensioni ma i rating su Spotify. quindi se siete uno dei nostri ascoltatori su Spotify potete andare alla pagina nel podcast, quella dove sono elencati tutti gli episodi, e potete lasciare un rating da 1 a 5 stelle. È ovvio che ci aspettiamo una pioggia di stelle.

Peppe: Ok, mi hai già praticamente rotto il concept di non fare più di una call to action. Adesso, abbiamo detto, fate una recensione su Apple Podcast e pure mettete 5 Stelle su Spotify, così proprio per disorientare le persone. Andrea CiraOlo non sarebbe d’accordo. Tu sai chi è Andrea Ciraulo?

Simon: Sì, certamente, me ne hai parlato diverse volte.

Peppe: Perfetto, e lui ti direbbe che hai fatto una call to action di troppo, ma non fa niente, ti perdono Simon, perché comunque la puntata l’abbiamo portata a casa, nonostante abbiamo parlato di Briatore, nonostante mi fai andare a dormire con la rabbia dentro, però io metto la musichina, Lo-Fi e quindi…

Simon: E nonostante la tosse e nonostante il Natale alle porte, anche questa l’abbiamo portata a casa. Sempre per amore della pizza.

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