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Il forno a legna non vuol dire proprio niente

di Giuseppe A. D'Angelo
L'Antica Pizzeria Da Michele, Londra - Forno a legna

Sarò sincero: questo post arriva in ritardo. Arriva in ritardo rispetto alle mie intenzioni e arriva in ritardo rispetto ai tempi. Ma non vuol dire che l’argomento non sia ancora da discutere. Anzi, forse le tempistiche sono proprio giuste per cominciare a riparlarne. Del mito che sia il forno a legna a fare la pizza napoletana.

Sembrerà strano, ma avevo intenzione di trattare questo argomento da almeno due anni, ovvero dagli albori del mio blog. Lo stimolo fu la lettura di un pezzo di Identità Golose intitolato “Il vero problema è il pizzaiolo”: si parlava di un incontro organizzato da Forma Mentis relativo al futuro della pizza, realizzata tradizionalmente in forno a legna o a gas, oppure nei forni elettrici che stavano cominciando a prendere piede.

Se ci poteva essere un dibattito allora, dopo soli due anni l’argomento è stato già sdoganato: perché oggi sono sempre di più i pizzaioli che abbandonano la legna per avvicinarsi ad altre forme di cottura, come il gas e l’elettricità.

Il motivo è molto semplice, e riguarda da vicino l’argomento di questo blog: mentre in Italia il forno a legna è ancora una realtà dominante, e non si potrebbe immaginare una città come Napoli vivere senza; all’estero è spesso invece un ostacolo, più che uno strumento per la riuscita di una buona pizza. Perché sono sempre di più le città che si stanno adoperando per bandire la fiamma viva, rea di causare troppi fumi inquinanti.

Pizza cotta nel forno a gas alla pizzeria Nennillo di Colonia
Pizza cotta nel forno a gas alla pizzeria Nennillo di Colonia

Piccoli passi verso una vittoria ambientale il cui effetto collaterale sarà quello di uccidere l’antica tradizione napoletana della pizza? Potremmo vederla da questo punto di vista, se crediamo alla balla che una pizza napoletana possa essere tale solo se cotta in forno a legna.

Intendiamoci, io sono il primo a provare una gioia infinita nell’entrare in una pizzeria e farmi avvolgere da quel profumo stuzzicante di legna bruciata che immancabilmente associo a una pizzeria di Napoli, e che mi fa sentire a casa anche quando mi ritrovo oltre Manica. Ma il tutto si limita a quello. Perché la riuscita della pizza non dipende certo dal suo strumento di cottura, come se bastasse buttare un qualsiasi impasto dentro al forno e magicamente il fuoco gli conferisca una patina di veracità.

No, proprio come sostiene l’articolo, il vero problema è il pizzaiolo. Chi realizza l’impasto, chi ha studiato per adattarlo alle condizioni climatiche dell’ambiente che lo ospita, chi ha speso nottate tra blend di farine e misurini d’acqua e lievito per dargli la giusta leggerezza e idratazione, e chi ha deciso di stendere la mano in modo da offrire un classico disco ben disteso o di concentrarsi su una forma a canotto. Tutto questo ben prima della fase forno.

E questo è un argomento che mi tocca particolarmente perché nel corso degli anni ho visto pizze preparate negli ambienti più impensabili e a diverse latitudini, alla faccia di un altro falso mito che “solo il clima e l’acqua di Napoli permettono di ottenere una vera pizza napoletana”. Falso come il mito del forno a legna.

La pizza di Sud Italia cotta nel forno a gas
La pizza di Sud Italia cotta nel forno a gas

Silvestro Morlando, il titolare di Sud Italia diventato celebre per aver “importato” la pizza a portafoglio a Londra, dopo più di due anni di successo al mercato di Spitalfields ha subito un duro colpo per il suo business: la gestione del mercato gli ha imposto il bando sul suo forno a legna. Rinnovare l’impianto gli è costato molto a livello economico anche per via dei clienti persi a causa della temporanea chiusura del business. Ma una volta riaperto è tornato più forte di prima, in regola con la normativa e con una pizza che non mostra alcuna differenza rispetto a quelle che sfornava prima.

C’è chi invece il forno a gas non lo vede come una necessità, ma come una sfida: è questo il caso del pizzaiolo Raffaele Boccia della pizzeria Nanninella di Poggiomarino. La sera che ebbi l’occasione di mangiare le sue pizze, friabili e leggerissime, gli chiesi come mai della scelta di impiantare un forno a gas nella sua pizzeria. E lui mi rispose che a lui piacciono le sfide, e una di queste è dimostrare che le regole impostate dalla vecchia scuola non sono infrangibili (lo stesso discorso ampliato anche su un concetto più generale di pizza), e che occorre guardare al futuro.

Pizza da Nanninella cotta nel forno a gas
Pizza di Raffaele Boccia cotta nel forno a gas

E il futuro della pizza, per molti, è il forno elettrico. Un tempo la sola idea avrebbe fatto rabbrividire me e molti altri, ma solo perché la mente va immediatamente a quei forni orizzontali, disposti uno sopra l’altro, di quelle pizzerie turistiche che sfornano in massa prodotti infimi e spesso anche surgelati. Difficile scrollarsi di dosso una simile reputazione.

Se non fosse che oggi il forno elettrico non è solo quello di ultima generazione prodotto da ditte come Izzo (citata nell’articolo di Identità Golose) che simula persino l’ambiente di un forno a legna con la sua volta a cupola. Ma anche forni meno sofisticati, che però i pizzaioli adattano alle proprie esigenze giocando con la temperatura e apportando modifiche (il famoso biscotto inserito sulla platea) per ottenere i propri risultati.

Ho potuto assistere dal vivo a giochi di questo tipo quando ho mangiato la pizza dei ragazzi di Wandercrust realizzata con un piccolo forno elettrico nel cucinino di un pub di Greenwich. Un risultato ottenuto tramite la folle creatività del titolare Michael Gregory, che nello studio dell’impasto abbinato al forno elettrico ha avuto anche il supporto di un altro campione londinese come Michele Pascarella.

Pizza di Wandercrust cotta nel forno elettrico
Pizza di Wandercrust cotta nel forno elettrico

L’amore per la ricerca del pizzaiolo appassionato non si ferma di fronte a niente. Ed è stato proprio il post Facebook di un convinto tradizionalista come Giacomo Guido che mi ha spinto a scrivere finalmente questo post. Il pizzaiolo ischitano, che attualmente sta facendo furore nella piccola cittadina inglese di Chester, ha pubblicato le foto di due sue pizze chiedendo ai suoi contatti di individuare quale fosse cotta in forno a legna, quale in quella elettrico. Per me erano totalmente indistinguibili, e c’era un motivo: salta fuori che erano cotte entrambe in forno elettrico, e del tutto identiche alle sue migliori creazioni in forno a legna.

Per questo dico che forse è stato un bene che io abbia aspettato due anni per scrivere questo post. In questo periodo ho potuto toccare con mano dove il lavoro di un bravo pizzaiolo può arrivare, al di là di tutti i preconcetti e i limiti che in realtà solo qualche autorità arcaica ha imposto. Prima gli dicevano che solo a Napoli si poteva fare la vera pizza, e loro sono andati fuori per dimostrare il contrario. Dopo gli hanno vietato l’utilizzo del forno a legna, ma questo non li ha certo fatti demordere, anzi li ha spinti a migliorarsi.

In ultimo, vorrei anche ribaltare il discorso. Se è vero che una buona pizza può essere fatta con forni a gas ed elettrici, è altrettanto vero che la sola presenza del forno a legna in una pizzeria non vuol dire proprio niente. Detta così sembra un’ovvietà. Ma vi assicuro che all’estero la dicitura “wood-fired” viene utilizzata quasi come sigillo di qualità (al pari di sourdough pizza) ed è una sorta di calamita che funziona probabilmente per associazione alla pizza napoletana classica. Risultando spesso in cocenti delusioni. Ma anche qui ci sarebbe da scrivere un altro post…

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2 commenti

luigi Agosto 4, 2018 - 9:46 pm

Non condivido l’eccessiva denigrazione della cottura della pizza in un forno a legna. Si possono fare pizze buone anche con altri fornì ma il forno a legna è un ottimo sistema che aggiunge delle note aromatiche in più alla pizza.

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Giuseppe A. D'Angelo Agosto 4, 2018 - 10:09 pm

Molti sostengono che anche l’aroma della legna sulla pizza sia una leggenda. Ma il punto del mio post non era certo denigrare la cottura tradizionale a legna. Era più che altro evidenziare che in un’ottica futura in quei questo debba essere per forza di cose abbandonato, orientarsi su altre tipologie di cottura permette di non abbandonare il risultato di un buon prodotto. E molti pizzaioli dimostrano di aver già fatto grossi passi avanti in questo.

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