Home Pizza, pizzaioli e pizzerie La pizza napoletana: cos’è, la sua storia e cosa la rende così unica

La pizza napoletana: cos’è, la sua storia e cosa la rende così unica

di Giuseppe A. D'Angelo

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“Pizza” è la parola italiana più conosciuta nel mondo. Ma, anche se viene riconosciuto come piatto simbolo della cultura culinaria del nostro paese, in realtà è il frutto della contaminazione di diversi popoli, culture e prodotti alimentari. E il risultato di questo scambio millenario di culture è arrivato fino ai giorni nostri a produrre un tipo di pizza che ha una denominazione specifica di un territorio: la pizza napoletana.

Storia della pizza napoletana 

La pizza intesa come prodotto lievitato e schiacciato a mo’ di focaccia è un’invenzione che risale a più di 3000 anni fa, conosciuta già dagli egiziani e da altri popoli dell’area mediterranea. Tanto è vero che i linguisti ancora dibattono sulle origini del nome, e molti lo fanno risalire alla stessa etimologia della pita greca. 

Ma quello che a noi importa, è come ha fatto uno dei prodotti più antichi del mondo, a diventare il simbolo della cucina napoletana più riconosciuto e amato. E cosa rende la pizza napoletana così differente dagli altri tipi di pizza. 

Intanto bisogna sottolineare che la pizza come la conosciamo oggi non sarebbe la stessa senza un ingrediente fondamentale: la salsa di pomodoro. Un frutto che solo fino a pochi secoli fa era sconosciuto agli europei. Ci arriva infatti direttamente dalle Americhe, grazie ai primi viaggi di scoperta del nuovo mondo. 

Ma quello che in Spagna e in Francia, nel Settecento, era considerato ancora un alimento disgustoso, nel Meridione d’Italia venne invece coltivato migliorandone le qualità organolettiche. E soprattutto nelle terre intorno al Vesuvio, grazie alla ricchezza delle sostanze minerali del suolo vulcanico, si svilupparono numerose varietà. Tra questa, la più popolare è ritenuta ancora oggi uno degli ingredienti essenziali per una pizza di alta qualità: il pomodoro San Marzano. 

Grazie al meridione d’Italia, con Napoli capitale di un Regno che copriva tutto il sud del paese, il pomodoro si è diffuso in tutta la cucina italiana, entrando di prepotenza nei nostri ricettari. Ma la pizza così come la intendiamo noi esisteva ancora prima della diffusione del frutto. A Napoli infatti si mangiavano già dischi di pasta cotti nei forni a legna, che venivano conditi con strutto, pepe e formaggio (pizza Mastunicola), o con il novellame, ovvero i pesci giovani, di sardine e acciughe (pizza con i cecenielli). 

Solo quando si cominciò ad aggiungere il pomodoro sulla pizza si originarono le due ricette conosciute oggi a livello mondiale. La pizza Marinara, con pomodoro, origano e aglio. E la pizza Margherita, con pomodoro, fiordilatte e basilico. 

Quest’ultima, tra l’altro, diventò famosa a livello nazionale grazie a una geniale operazione di marketing. Nel 1889 la Regina Margherita di Savoia venne in visita a Napoli, e il pizzaiolo Raffaele Esposito decise di omaggiarla con una ricetta in suo onore, utilizzando gli ingredienti i cui colori ricordavano la bandiera italiana (pomodoro per il rosso, mozzarella per il bianco e basilico per il verde) e chiamandola col suo nome. In realtà gli storici hanno ampiamente sfatato la leggenda dell’invenzione della pizza Margherita, dimostrando che lo stesso tipo di pizza fosse già conosciuto dagli inizi dell’800. 

Ma non importa, perché questa leggenda ha creato il mito della pizza napoletana e dei suoi artefici principali, i pizzaioli. Un piatto talmente radicato nella cultura popolare, da aver acquisito un suo disciplinare di preparazione, e il riconoscimento da parte dell’Unione Europea di STG, specialità tradizionale garantita. Unica variante di pizza italiana ad aver ricevuto questo marchio di garanzia, a sottolineare ancora una volta il suo stretto legame con il territorio. 

Caratteristiche della pizza napoletana

E cosa distingue una pizza napoletana verace da tutte le altre? I metodi di preparazione e lavorazione dell’impasto, che seguono una serie di procedure ognuna identificata con dei nomi ben precisi (puntata, staglio, appretto). Senza dilungarci troppo, il pizzaiolo stende il panetto di pizza e lo lavora (in gergo, lo “ammacca”). Rigorosamente con le mani, assolutamente vietato il mattarello, in modo da creare un disco sottile all’interno, e spingere il resto della massa ai bordi (creando il caratteristico cornicione). Dopo averlo condito con gli ingredienti, lo stende su una pala e lo mette a cuocere nel forno. Forno che per tradizione storica è esclusivamente a legna, ma che nell’epoca moderna viene pian piano sostituito da forni a gas o elettrici di uguale resa

Il metodo di cottura abbinato al tipo di impasto è infatti l’altra caratteristica fondamentale della pizza napoletana. L’elevata temperatura del forno (dai 450 ai 480 gradi) permette all’impasto di crescere e cuocersi nel giro di 60-90 secondi, mantenendo però una struttura morbida ed elastica. Una delle caratteristiche principali della pizza napoletana è infatti quella di potersi ripiegare su se stessa senza rompersi (piccole versioni di questo tipo di pizza per lo street food a Napoli sono chiamate “pizza a portafoglio”). La fetta sottile è in grado di reggere il peso degli ingredienti piegandosi ma restando integra. 

Altra caratteristica tipica della pizza napoletana è la cosiddetta struttura del cornicione. Esternamente appare di un bel colore ambrato, costellato di puntinature nere (una maculatura leopardata, in gergo definita “mako”). La sezione al taglio invece mostra al suo interno lo sviluppo reticolare della maglia glutinica, che per il suo aspetto viene scherzosamente paragonata alle ragnatele.

A differenza di altri tipi di pizza, il cornicione della napoletana al tatto deve risultare soffice, per niente croccante. Nella pizza napoletana moderna viene concesso un velo di crunch (erroneamente definito col termine “fragranza”), ma all’affondo del morso il cornicione deve comunque restare morbido.

Un equivoco comune è proprio quello di identificare la pizza napoletana con il suo cornicione, mediamente più alto della pizza italiana classica, e per questo definirla “alta e spessa”. In realtà l’intera parte di disco racchiusa all’interno del cornicione si contraddistingue per il suo spessore millimetrico, il più delle volte davvero ridotto al minimo quando la pizza è “fine di pasta”.

La pizza napoletana “contemporanea”

Negli ultimi dieci anni la pizza napoletana ha subito un’evoluzione senza precedenti grazie agli studi e al lavoro di una nuova generazione di pizzaioli. Gli studi sono avvenuti su due fronti. Da un lato, comprendere i procedimenti chimici che ci sono alla base dello sviluppo dell’impasto. Ciò permette ai pizzaioli di giocare con gli ingredienti, i dosaggi e la varietà di farine per ottenere pizze più o meno morbide, idratate, friabili e dal cornicione più sviluppato. 

Dall’altro lato, si è cominciato a prestare molta più attenzione agli ingredienti del territorio, attingendo all’enorme varietà di produzione della regione Campania. Per cui, se una volta i menù delle pizzerie erano tutti uguali, offrendo sempre le stesse varietà di Margherita, Capricciosa, Ortolana, ecc. oggi i pizzaioli si divertono a creare ricette più complesse e elaborate, giocando con gli abbinamenti di specialità locali provenienti dai diversi comuni di residenza. Questa sorta di pizza evoluta viene da molti definita come “napoletana contemporanea” (da non confondersi con la pizza contemporanea dei pizzaioli del nord Italia) ed è diventata un fenomeno mediatico di tale portata che i pizzaioli più bravi sono ormai definiti non più solo maestri, ma “pizza chef”. 

Resta il fatto che la tradizione della pizza napoletana verace è sempre il modello base a cui ispirarsi, ed è ancora molto sentita all’interno dei vicoli del centro storico della città di Napoli. Soprattutto in quella strada considerata un museo a cielo aperto della pizza napoletana, data l’alta concentrazione di pizzerie di grossa fama: Via dei Tribunali

La pizza napoletana non è solo caratterizzata dal processo con cui viene preparata o dai suoi ingredienti. L’elemento fondamentale che la distingue sono i pizzaioli stessi, che con la loro gestualità, il proprio linguaggio, il rapporto diretto con i commensali (a differenza della cucina classica in un ristorante, la zona di lavoro è direttamente a vista nella bottega) perpetuano un’arte secolare. 

L’arte del pizzaiuolo napoletano nel 2017 è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità. E sotto questa bandiera globale si riuniscono tutti i pizzaioli, napoletani e non, che preparano un piatto che oggigiorno non conosce più confini. Un cibo che non è più solo strettamente legato alla sua terra di nascita, ma appartiene a chiunque voglia apprenderne le basi, da qualunque parte del mondo. Con il permesso di migliorarlo e innovarlo, guardando al futuro ma senza dimenticare il passato. Sempre nel segno della tradizione.

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