AGGIORNAMENTO 27/11/2018: la pagina è stata aggiornata con il secondo Tokyo Pizza Tour.
2017: Tokyo Pizza Tour
2018: Tokyo Pizza Tour parte due
2017: Tokyo Pizza Tour
31 gennaio – 2 febbraio 2017: non me lo sarei mai aspettato, ma quello che è stato solo il mio secondo Pizza Tour ufficiale mi ha catapultato addirittura dall’altra parte del pianeta. Pensavo che avrei girovagato di più tra le città del Regno Unito e d’Europa prima di andare così lontano. Però, dopo un fallito pizza tour a Dublino (perché una delle due pizzerie che volevo provare era chiusa quel giorno), e un involontario ma non preparato pizza tour a Bristol (di cui parlerò prima o poi), pensavo comunque che mi sarei organizzato qualcos’altro a corto raggio. E invece no.
Ma com’è nato il Tokyo Pizza Tour? In realtà era da un po’ che accarezzavo l’idea di un tour a base di pizza napoletana non solo nella capitale giapponese, ma in tutto il Sol Levante. Questo perché da qualche anno il Giappone è saltato agli onori della cronaca per essere diventato la nuova terra promessa per esportare il nostro piatto preferito. Anzi, più che esportare, importare. Perché non sono tanto i napoletani a viaggiare in Oriente per profumare l’impero dei sensi di basilico, pomodoro e mozzarella. Ma sono i giapponesi che si accollano il peso di cotanto viaggio per venire a imparare nella terra natale della pizza, assorbire tutto l’assorbibile, e riportarlo poi in patria.
E così, volando al di fuori dei confini italiani, New York è a tutti gli effetti la capitale della pizza napoletana in America, Londra sta recuperando il passo per quanto riguarda l’Europa, e Tokyo ha messo il piede sull’acceleratore trascinando con sé tutto il paese. Risultato? La pizza napoletana ha conquistato il Giappone.
Naturalmente un tour che copra l’intero stato insulare è roba da nomadi con tanto tempo libero e portafogli forte. Mentre io ho potuto contare su alcuni giorni di ferie che avevo custodito gelosamente fino a fine gennaio senza fare programmi di nessun tipo. Fino a quando, a una settimana dal periodo di fuga dal lavoro, mi sono reso conto che forse era il caso di prenotare un biglietto. Ed è così che, colto da un raptus di follia improvvisa, di quelli che vorrei mi venissero più spesso, ho deciso di realizzare il sogno di tutta una vita e acquistare un biglietto diretto Londra-Tokyo.
Naturalmente il mio viaggio in Giappone non si è fermato alla sola capitale, ma non è questa la sede in cui parlarne. Veniamo quindi a come ho scelto le pizzerie che hanno funto da banco di prova del mio Tokyo Pizza Tour. Avevo già stabilito che non sarebbero state più di tre, perché le pizzerie nella città sono davvero tante, io solo uno, e comunque del sushi volevo pur mangiarmelo!
L’ispirazione l’ho presa da questo articolo di Dissapore di Antonio Fucito, che ha realizzato un tour simile lo scorso ottobre assaggiando quattro pizzerie. Ispirazione che, ahimé, si è trasformata in una copia spudorata per un semplice motivo. Le prime due pizzerie che leggerete in questo post le conoscevo già, e capirete subito che non potevano essere tralasciate. Della terza, invece, ne sono effettivamente venuto a conoscenza tramite quell’articolo. Non ho deciso di cambiare, però, perché fatta una ricerca su altre testate delle pizzerie napoletane più popolari di Tokyo, questa era l’unica che avesse effettivamente delle foto che mi ispiravano. E perché spendere i miei pochi averi rischiando di mangiare male?
Dopo questa lunghissima premessa, mi sembra il caso di cominciare. Nelle settimane che seguiranno la pubblicazione di questo post, pubblicherò anche le recensioni dettagliate sulle pizze in questione. Per ora mi limito a raccontarvi la mia esperienza di viaggio attraverso la cucina partenopea nella terra dei samurai. Buona lettura!
Giorno 1: L’Antica Pizzeria Da Michele, Ebisu
Arrivo a l’una del pomeriggio a Tokyo, dopo un volo durato 11 ore in cui non ho minimamente dormito. Ironicamente, nonostante siamo a fine gennaio, mi assale un clima che sembra riportarmi proprio a una Napoli primaverile: 18 gradi, un caldo asciutto e un vago sentore di brezza marina nell’aria (nonostante la stazione centrale non si trovi proprio vicinissima al porto). La gente gira con i giacconi invernali, io non ce la faccio, mi spoglio di tutto e mi metto in T-shirt. Non potevo desiderare accoglienza migliore, l’entusiasmo si appropria di me con un bambino, e questo sarà l’errore fatale: il pomeriggio decido di uscire senza maglione, ma solo con una giacca di pelle a coprire le mie nude braccia. La sera non sarà altrettanto benevola.
Incurante di quelli che potranno essere gli effetti devastanti del jet lag decido di non sprecare neanche un minuto a dormire, e dopo il check-in in ostello mi metto in strada. E la sera mi dirigerò direttamente verso il quartiere che rappresenta Tokyo nell’immaginario di tutto il mondo: Shibuya. Il mitico incrocio non è poi così affollato, ma sarà perché è un martedì sera. Ma non mi importa: mi godo le accecanti insegne luminose, gli immani schermi pubblicitari e la musica J-Pop del complessino del momento che esce da ogni altoparlante del quartiere. E mi dirigo verso la pizzeria.
Perché L’Antica Pizzeria Da Michele non poteva che essere la prima tappa di questo viaggio. La centenaria pizzeria napoletana, che vanta sede unica a Napoli, anni fa ha inaugurato proprio nella capitale giapponese il suo franchise Michele in the World: a Tokyo seguiranno Fukuoka, Roma e Londra (e proprio in quest’ultima, ci ero stato due sere prima in vista dell’apertura ufficiale).
La pizzeria però non si trova proprio a Shibuya, ma in un quartiere un po’ più piccolo e residenziale chiamato Ebisu. Ci ho messo un po’ a trovarlo, ma dopo una mezz’ora di cammino, in un’anonima stradina laterale, ecco spuntare il faccione di Michele. Entro e mi siedo. Perché sì, qui non ci sono le interminabili attese che accompagnano Napoli, Roma e Londra. Niente numerini di carta colorati, il posto è stato mio sin da subito.
Non che la pizzeria non fosse affollata, ma non più di una qualsiasi altra pizzeria. La clientela era principalmente asiatica, anzi, credo proprio che in quel momento fossi l’unico senza gli occhi a mandorla. Anche lo staff è tutto giapponese, pizzaiolo compreso. Ma i diplomi di conseguimento del titolo nella pizzeria originale incorniciati ed esposti in bella vista mi assicurano subito. D’altronde parliamo di un franchise, quindi ci sono degli standard da rispettare.
E sono rispettati? Be’, il forno a legna c’è. E anche le dimensioni della pizza non deludono, forse di poco inferiori alla leggendaria rota ‘e carretta. Per quanto riguarda gli ingredienti, non ho potuto verificare di persona, ma alla fine è il risultato finale quello che conta. E di quello vi parlo nella recensione dettagliata.
Giorno 2: Da Peppe Napoli sta’ ca”, Kamiyacho
Ho avuto un po’ di difficoltà a trovare questa pizzeria su Google Maps. E ci credo: Google continuava a riportarmela con la traslitterazione giapponese di Naporisutaka. Una volta capito che si trattava dello stesso locale ho avuto vita facile. Soprattutto quando ho scoperto che si trovava a due passi dalla Tokyo Tower. Ho colto due piccioni con una pizza.
La pizzeria di Peppe Errichiello, da cui prende il nome, si trova nel quartiere di Azabudai, anche se per identificarla con l’altra pizzeria viene utilizzato il nome della metro più vicina, Kamiyacho. Sì, perché il successo di tale pizzeria è stato tale che Peppe Errichiello ne ha aperto anche una seconda sede a Setagaya, e ha lasciato la gestione della sede originale al fratello Carlo.
A quanto pare, il nuovo locale è un ristorante vero e proprio, mentre quello dove sono stato io è più una trattoria. E non potevo desiderare di meglio dall’ambiente. Nel momento in cui ho varcato la porta mi sono ritrovato improvvisamente a Napoli. Il colore azzurro predomina su tutto, ma a generare l’effetto di ridondanza sono le innumerevoli sciarpe, magliette, foto dedicate alla squadra del cuore. Leggo su Dissapore che la pizzeria è anche sede del Napoli fan club a Tokyo. Ma a me del calcio me ne può fregare di meno: a me piace il caos colorato.
E infatti la pizzeria è strapiena, aspetto dieci minuti prima di poter entrare. Non che ci voglia molto a riempirla, dal momento che farà in tutto una ventina di coperti. Ma tra le quattro mura rimbomba il vociare dei commensali, in un mix fifty-fifty di giapponesi e italiani; e il casino proveniente dall’altra metà della sala, ovvero la cucina con il banco pizzeria, anche questa popolata etnicamente in eguale proporzione. Al forno, ovviamente, Carlo Errichiello. Che ci mette poco a inquadrarmi e a capire le mie origini, e per questo mi fa arrivare a tavola uno spumantino offerto dalla casa. Una gentilezza condivisa con tutti gli italiani in sala.
Dopo aver mangiato la pizza (che potete ammirare in foto, e qui vi racconto i dettagli), Carlo si intrattiene con me e mi racconta un po’ la storia dei fratelli Errichiello e della pizzeria. L’atmosfera in sala è tutta italianamente chiassosa, ma neanche i giapponesi si risparmiano. Complice l’allegria del personale di sala, tra camerieri e cuochi, qui le differenze geografiche e culturali si abbattono. Non me ne sarei voluto più andare.
Giorno 3: Ca Po Li, Shinjuku
Cosa si nasconderà mai dietro le tre strane sillabe di questa pizzeria? Un messaggio in codice? La romanizzazione di tre ideogrammi di un oscuro dialetto giapponese? Forse la risposta è nell’insegna all’esterno, dove l’immagine di un golfo riporta la dicitura “Capo di Napoli”, ma sinceramente non ci arrivo. Quello che mi colpisce è il fatto che fuori campeggia lo stemma dell’Associazione Verace Pizza Napoletana. Insomma, questa pizzeria è riconosciuta dalla lobby che detiene con fierezza la paternità del rigido disciplinare.
Mi colpisce ancora di più soprattutto quando vedo che non c’è neanche l’ombra di un italiano in sala. Tutti giapponesi, dalla pizzeria, ai camerieri, alla cucina. Non che la cosa mi dia fastidio, anzi. Ritorno comunque a essere l’unico occidentale, perché anche qui, nelle due ore in cui mi sono intrattenuto, non si sono avvicendati che asiatici. Ma a dirla tutta, di occidentali non se ne vedono molti neanche in giro a Shinjuku, il quartiere dove risiede la pizzeria.
Quello che mi piace subito di questo posto è il fatto che qui sono tutti sorridenti in maniera genuina. Soprattutto una. Quella che catturerà il mio sguardo per quasi tutto il tempo. La pizzaiola. Già è raro incontrare una donna a praticare questo mestiere, trovarne addirittura una in Giappone non è da poco. Forse è proprio il fatto di vedere questa ragazza sveglia e allegra alle prese con un lavoro generalmente “maschilista” che mi affascina così tanto. Ma non è da sola. Ad affiancarla c’è anche un altro pizzaiolo in gamba e sorridente. La sinergia tra i due è lampante, i due formano una coppia perfetta.
Anche qui non voglio dirvi sulla pizza più di quello che vi dice la foto (ve ne parlo qui nel dettaglio), ma uno spoiler ve lo faccio: tra le tre, è quella che mi è piaciuta di più. E mi ha lasciato con la voglia, anche a causa delle sue dimensioni ridotte. E lì ci sono cascato. Vedendomi passare sotto il naso un calzone fritto ho deciso di effettuare il mio secondo ordine. Il mio stomachino però non è abituato a tutta quest’abbondanza, e più tardi mi odierà.
Nel frattempo, però, cerco di reperire qualche informazione in più sulla pizzeria, chiacchierando con l’unico cameriere che conosce l’inglese e mi fa da interprete con i pizzaioli. Scopro quindi che nessuno di loro è mai stato a Napoli, e hanno imparato a fare la pizza a Tokyo. Anche della proprietà del posto ne capisco ben poco: a quanto pare i proprietari non sono italiani, ma un consorzio che possiede anche altri locali nell’edificio in cui si trova la pizzeria. Mah.
Conclusione
Non del viaggio, naturalmente, ma del pizza tour. E devo dire che ne sono uscito abbastanza soddisfatto, più che altro per la quantità e la diversità delle pizzerie che ho visitato. Per quanto riguarda la qualità… be’, non vi resta che continuare a seguirmi e attendere le recensioni. Arigatou gozaimasu!
2018: Tokyo Pizza Tour parte 2
21 – 23 novembre 2018: a distanza di meno di due anni (ma avrei preferito anche prima) torno a Tokyo per tre giorni. In questa occasione riesco a provare addirittura quattro pizzerie, che vanno ad arricchire il mio elenco.
Giorno 1, cena: Pizzeria e Trattoria Da Isa, Meguro
Come ci si fa a sentire a Napoli pur essendo su una trafficatissima strada di un quartiere centrale di Tokyo? Semplice, si prende un piccolo locale, lo si decora con piastrelle bianche e blu, statuine di San Gregorio Armeno, trofei neanche fossero le coppe del Napoli e tanti tavoli stretti l’uno con l’altro. E un pizzaiolo che lavora senza sosta tra il bancone e il forno, a due palmi dalla sua clientela. Lui è Hisanori Yamamoto, e non è uno qualunque: la sua tradizionalissima pizza napoletana ha vinto premi e riconoscimenti in ogni parte del mondo (indi le coppe) e rappresenta l’assoluta veracità.
Da ISA ti catapulta in una pizzeria che sembra presa di peso da un vicolo del centro storico di Napoli. Manca solo il caos tipico dei quartieri, ma Yamamoto non urla, lavora con alacrità e serietà di fronte alla fiamma. Eppure ti regala un sorriso sincero a ogni foto, e se ti ci fermi a parlare, puoi sentire anche la sua cadenza napoletana acquisita in due anni di scuola a Napoli. Verace quanto la sua pizza. Volete saperne di più? Leggete la recensione dedicata.
Giorno 2, pranzo: Napule, Aoyama
La cosa che mi più mi piace di questa pizzeria è il fatto che si trovi in un vicolo di un’altra strada ampiamente trafficata e circondata da grattacieli. Se a due passi regna la voce dei motori che dominano Tokyo, qui la quiete è regalata da un ristorantino dall’atmosfera elegante, localizzato sui tre piani di un piccolo edificio. Non manca però l’elemento caratteristico: al piano terra i pizzaioli hanno l’intero spazio di lavoro esposto in bella mostra su una vetrina che dà sulla strada. Li si può osservare già da fuori, stendere e schiaffeggiare l’impasto, e se gli fai un saluto te lo ricambiano volentieri con allegria. Ovvio, non sono stato io a farglielo, ma una ragazza molto più carina di me che passava di là: chi rifiuterebbe il sorriso a una dolce giapponese?
I pizzaioli sono giapponesi, il cameriere che ci serve italiano, il maitre di sala èun giapponese che parla perfettamente italiano: insomma, Napule è un mix ben riuscito per il locale che vuole assaggiare un po’ di italianità senza sentirsi troppo lontano da casa. L’esperienza gastronomica è completa, il menù bello ampio e prevede numerose specialità napoletane. Accompagnare la pizza con un antipasto di frittura di mare ti suggella l’esperienza.
Giorno 2, cena: Da Peppe Napoli sta’ ca”, Komazawa
Finalmente conosco il mitico Peppe Errichiello, nella seconda sede del suo locale. Se vi ricordate, la prima volta ero andato a Kamiyacho, in un bugigattolo dove si respirava tanta napoletanità quanto nelle mutande di Pulcinella. Lì mi avevano offerto una splendida accoglienza sua fratello Carlo e un team misto di italiani e giapponesi.
Ma Peppe fa di più: con la sua mimica e una cadenza che non lascia per niente spazio all’italiano ti offre una teatralità tutta napulegna. Di quelle che trovi in quei ristoranti gestiti da patroni protagonisti e con l’anima rivolta al cliente. Anche perché il secondo Napoli sta’ ca” va oltre la pizza, e spinge molto sulla cucina, soprattutto quella di mare. Sarà anche tutto il blu delle piastrelle a ricordarcelo, ma Tokyo è una città portuale, esattamente come Napoli, per cui le affinità vanno ben oltre la passione comune per la pizza. Peppe vuole che mangiate, e bene. Ma occorre che veniate a stomaco vuoto, perché le porzioni sono abbondantemente mediterranee. Con la stessa abbondanza, vi racconto tutto in questo post.
Giorno 3, pranzo: Pizzeria Da Granza, Senzoku
Questa pizzeria si trova un po’ più lontana dal centro, in un quartierino residenziale. Ed è localizzata in un seminterrato, perché i giapponesi sanno bene come sfruttare tutti gli spazi a disposizione, in una città grande e popolosa come Tokyo. L’atmosfera soffusa, il bancone e i tavoli di legno rendono l’ambiente particolarmente affascinante. Anche qui parliamo di spazi ridotti e pochi coperti, di cui alcuni al bancone.
Il pizzaiolo lavora con molta tranquillità, e si intercambia con i camerieri portando anche lui i piatti a tavola. In effetti regna confusione, non si capisce bene chi faccia cosa (a parte le pizze, ovviamente). Ma non c’è disordine. Sono tutti tranquilli, rilassati e forse anche per questo si permettono pochi clienti. Daltro canto si mangia benissimo, e la qualità degli ingredienti è ottima. Un po’ meno la pizza, che non è malvagia ma lascia spazio a notevoli margini di miglioramento.
Conclusione
Anche in questa occasione ho avuto un’ottima opportunità di mangiare in pizzerie di buon livello, che si dividono tra popolari (per noi italiani) e meno conosciute ma altrettanto caratteristiche. La prima volta che venni a Tokyo ebbi qualche difficoltà ad andare oltre i nomi che segnalai, perché il viaggio fu improvvisato e la mia conoscenza era davvero misera. Nel frattempo ho studiato, ho buttato giù decine di nomi, ma il tempo è sempre troppo poco e le pizzerie davvero tante. Questo post sarà in continua evoluzione, perché per coprire l’intera scena della pizza napoletana a Tokyo occorrono viaggi su viaggi. Cercherò di attrezzarmi al meglio.
[In apertura: pizzaiolo alla pizzeria Da Granza]