17 novembre – 3 dicembre: queste le date in cui ho realizzato un mio sogno, quello di un pizza tour a Taiwan.
Sognavo di andare da quelle parti da anni, prima che arrivasse voi-sapete-cosa a rovinarmi i piani (vabbè, mica solo a me). È un paese in cui avevo adocchiato una scena della pizza napoletana simile a quella giapponese, anche se ancora molto agli albori. Devo dire che a distanza di anni le cose non sembrano essersi sviluppate molto, ma sono nate nel frattempo alcune realtà interessanti anche al di fuori della pizza tradizionale che non mi hanno fatto pentire di aver tardato così tanto la mia partenza (anche perché anni fa non esisteva il volo diretto Milano-Taipei, mooolto più comodo).
Un po’ come avvenne col mio primo viaggio in Giappone, anche questo è stato abbastanza improvvisato: nonostante avessi iniziato il 2023 dicendo a me stesso “questo è l’anno in cui andrò a Taiwan” non riuscivo a inserire la programmazione da nessuna parte. Fino a quando, arrivato quasi al termine dell’anno, non mi sono rotto: ho messo due settimane di ferie in fila e ho acquistato il volo una settimana prima, con un prezzo del biglietto accessibilissimo.
Anche il resto del viaggio è stato improvvisato: ho prenotato solo le prime tre notti in un ostello di Taipei, per poi pianificarmi l’itinerario lungo il percorso. L’unica certezza erano le pizzerie che avevo già in elenco da parecchi anni. Ma se c’è una cosa che ho imparato in tutti i pizza tour precedenti, è che questi di solito vanno bellamente a farsi benedire, frutto di deviazioni e suggerimenti dell’ultimo minuto. E anche questo non è stato da meno.
E allora, cominciamo a scoprire dove mangiare la pizza napoletana a Taiwan.
PS: questo articolo è gemellato anche con numero 28 della newsletter C’è Pizza, dove approfondisco anche la cultura del tè e caffè taiwanese. Lo trovi a questo link.
TAIPEI
Avevo già la prima destinazione pronta: la pizzeria Gira Pizza nel distretto di Songshan, che dalle immagini reperite online mi ha sempre dato un’ottima impressione. Da bravo turista stupidotto mi reco senza nemmeno controllare gli orari di apertura, e lì ho il primo shock culturale: le pizzerie (ma in generale i ristoranti) chiudono molto presto la sera. Arrivo alle 21 convinto di sedermi come fossi a Napoli e trovo il locale in fase di chiusura. Tra l’altro, dopo un viaggio non proprio comodissimo: la pizzeria si trova in un quartiere residenziale molto carino, ma lontana da linee del bus o della metro convenienti. Questa cosa mi porterà al termine del viaggio a prendere una decisione di cui mi pentirò.
Se da un lato sono stato anche contento di non aver inaugurato il mio viaggio a Taiwai con una pizza, ma di essermi poi immediatamente gettato su uno street food prima e un night market dopo, stavo già pianificando la visita della sera dopo. Che è avvenuta in una pizzeria che in realtà non origina proprio da Taiwan: si trattava infatti della sede di Taipei di Solo Pizza, una piccola catena del pizzaiolo giapponese Pasquale Makishima (piccola nota da tenere a mente da qui in avanti: i pizzaioli orientali di scuola napoletana tendono a ribattezzarsi con un nome italiano, anzi spesso napoletano, un po’ come i cinesi hanno sempre la versione inglese del loro nome).
Anche qui rischio di non sedermi nonostante siano appena le 19.30, perché la cassiera all’ingresso sostiene che hanno una fila che li riempie fino all’ora di chiusura. Io insisto per farmi mettere in fila facendogli notare che tanto sono da solo e un posto sicuro riescono a infilarcelo. Di lì a venti minuti, infatti si libera un tavolo (ho l’impressione che molti prima di me abbiano abbandonato l’idea di attendere in fila). Il locale è in effetti piccolino, conterà neanche una trentina di posti a sedere. Il servizio è inesistente: ci si siede, si dà un occhio al menù, si va alla cassa a ordinare e si paga. Anche la pizza la si prende direttamente al bancone dalle mani dei pizzaioli. Posate e tovagliato sono direttamente disponibili per il cliente su due carrelli in sala, e l’acqua la si prende gratuitamente da un boccione col rubinetto. Tutto ciò rende la pizza molto economica rispetto alle altre che ho mangiato: nel caso della mia Margherita, 198 dollari taiwanesi, equivalenti a poco meno di 6 €.
La sera dopo ero nel distretto di Xinyi, conosciuto per essere sede del Taipei 101 e di tutta la mole di parchi, hotel ed edifici di lusso che lo circondano. La terza pizzeria però si trova in una parte più residenziale e piccolo borghese, e nonostante ciò non manca di eleganza: la pizzeria Salto di Rocco e Giovanni ha un bellissimo arredo moderno e raffinato, all’interno di un locale ad angolo con tanto di vetrata ampia e luminosa. Nonostante ciò, non mancano le classiche statuine presepiali e pulcinella vari che addobbano la maggior parte delle pizzerie taiwanesi (come quelle giapponesi, il parallelismo è sempre d’obbligo). Per non parlare della mole di trofei in bella vista dei campionati di pizza: ma a quello ci arriviamo.
Rocco e Giovanni, i titolari, si sono in realtà spostati in quella sede da un paio d’anni, ma la pizzeria esiste dal 2009. Rocco è in cucina, a occuparsi di primi e secondi (il locale è anche una piccola trattoria), mentre Giovanni è al forno e realizza una pizza che definire perfetta è poco: trasuda napoletanità da tutti i pori. Qui imparo una seconda lezione: a Taiwan le pizze sono mediamente più piccole, tanto è vero che la mia è un “formato grande” nonostante sia una classica 33 cm. La scelta la si applica direttamente dalla tovaglia di carta, dove sono riportati due cerchi concentrici, uno da 33 cm e un altro da 28, per farti capire le dimensioni della pizza e farti ordinare la dimensione che più ti soddisfa. La stessa tovaglia ha poi una funzione illustrativa multiuso, con la spiegazione di cosa sia una pizza napoletana e una serie di illustrazioni su come si regge e si mangia la fetta con la punta rivolta verso l’interno.
Rocco e Giovanni vengono dalla scuola APN, l’Associazione Pizzaioli Napoletani, e hanno avuto come insegnante Roberto Barone, titolare della pizzeria Peppe ‘a quaglia a Volla. Roberto ha in effetti istruito numerosi pizzaioli a Taiwan, la sua foto spunta in numerose pizzerie. “Per noi è un dio” mi dice Rocco. Quando lo sento al telefono per raccontargli dei miei incontri la cosa lo rende ovviamente molto contento.
Quello che imparerò nei prossimi giorni è che l’APN è praticamente responsabile, assieme a Caputo, della creazione del business di pizza napoletana in Taiwan: perlomeno, la maggior parte delle pizzerie che incontro espone i marchi dell’associazione e della farina in ogni dove. Per non parlare delle coppe della Caputo Cup, che ha una sua edizione che si svolge a Taiwan.
Piccola pausa: è anche vero, però, che questa sorta di monopolio non sarà destinato a durare. Quel pomeriggio stesso, infatti sono stato al Nangang Exhibition Center, un grandissimo centro fiere dotato di due padiglioni: in uno si svolgeva una fiera internazionale del tè, in un’altra quella del caffè. E in entrambi, ho trovato stand di pizza. Ho conosciuto Otto Chang, rappresentante della sede taiwanese dell’Accademia Pizzaioli di Gruaro. Dall’altro lato, invece, Rockie Lin, uno chef che è anche diventato pizzaiolo autodidatta formandosi con i video di Vito Iacopelli, che utilizzava farina del Molino Dalla Giovanna. Il mercato, a quanto pare, è in crescita e vede anche altri interessi (anche su questo ci torneremo).
L’ultima tappa a Taipei, prima di partire per altre destinazioni sull’isola, è stata la sede originale di Gino Pizza Napoletana, la piccola catena fondata da Gino Zheng. Gino è un po’ il Pasquale Makishima di Taiwan (tanto è vero che compaiono spesso assieme), uno che ha capito come far diventare la pizza un progetto imprenditoriale e che non solo si è limitato ad aprire più locali – tra l’altro anche in questo caso piccole trattorie – ma anche a pubblicare linee di prodotti con il suo nome sopra e a formare vari pizzaioli. Ah, e poi va in televisione. Insomma, un po’ l’equivalente del nostro Sorbillo.
TAICHUNG
La pizzeria che mi ero segnato per questa tappa prende il nome di Il Sorriso, ma non è che mi convincesse particolarmente. E difatti mi sono cimentato in un’altra ricerca trovando un’altra pizzeria napoletana che prende il nome di Amore. A Taichung gli orari sono ancora più assurdi: le pizzerie la sera chiudono alle 19.30. Io però da Amore ci arrivo a mezzogiorno, appena mezz’ora dopo l’apertura. E nonostante ciò, rischio di essere messo alla porta: mi dicono che è tutto pieno e che non posso accomodarmi perché non ho prenotato. Anche in questo caso chiedo se posso aspettare che si liberi un posto, e nel giro di venti minuti riesco ad accomodarmi. Evidentemente è un’opzione che non si aspettano proprio che qualcuno prenda in considerazione: forse che ai taiwanesi non piace fare la coda per mangiare? (se è così, hanno capito tutto dalla vita)
Il menù offre la possibilità di scegliere la pizza in formato 10″ (25 cm) o 12″ (30 cm). In questo caso la prendo piccola, ci vedo un’opportunità per provare una seconda pizza dopo la classica Margherita. Peccato che la cottura della prima abbia lasciato un po’ a desiderare: pizza “avvampata”, sbruciacchiata alla base ma cruda in molti punti all’interno. E metto in conto che poteva essere stato un difetto eccezionale, ma non me la sono sentita di rischiare con una seconda pizza. Peccato, però, perché a parte questo era buona.
KAOHSIUNG
Sorvolo la tappa della bellissima Tainan, perché non ho trovato pizzerie che meritassero la mia attenzione (o magari non le ho sapute cercare). A Kaohsiung mi trovo invece un paio tra cui scegliere: la pizzeria Da Chou e la pizzeria Posto. La scelta ricade sulla seconda, consigliato anche da un contatto sul posto, Alberto, con cui vado a mangiare la pizza assieme alla moglie. Grazie a loro mi si aprono le porte della città (ma partiamo prima dal fatto che per una volta posso provare anche altri gusti, oltre alla Margherita). Anche qui, pizze molto tradizionali, di medie dimensioni, ottime nel gusto e nell’impasto. In un locale meno stereotipato degli altri dov’ero stato fino ad allora, visto che per la prima volta la musica mandata in filodiffusione non era italiana (non che mancassero pulcinella e agliare, comunque…).
Una storia interessante è che un ex pizzaiolo di Bassotto, Giuseppe (sempre taiwanese) ha lasciato l’attività per aprire un bar tutto italiano a Kaohsiung. Ma di questo vi parlo nella newsletter C’è Pizza (il link è sempre in cima all’articolo).
TAIPEI: IL RITORNO
Gli ultimi giorni li ho passati nuovamente a Taipei, una città che da sola richiederebbe le due settimane che io ho impiegato per attraversare un lato dell’isola. E mi sono fiondato su una pizzeria che mi è stata suggerita sia da Rockie Lee che in un commento della mia pagina Facebook: Pizza Round. Una bottega nel distretto di Da’an che più che una pizzeria sembra una piccola hamburgeria. Non è infatti un ristorante in senso stretto, ma un locale dove ti siedi, ordini, paghi e ritiri al bancone (un po’ come da Solo Pizza, ma con molti meno posti).
La particolarità di questo posto? La pizza canotto. Proprio così, scritto anche sul bigliettino da visita del locale. Ma com’è potuto arrivare questo stile in un paese dominato dalla tradizione? Di nuovo, ci ha pensato mamma YouTube: il proprietario, Jin (e già il fatto che non usi un nome italiano la dice lunga) ha cominciato a guardare i video di Vito Iacopelli per poi passare a quelli di Bonetta, Lioniello e Capuano, tutti esponenti del cornicione alto. Dopo essersi costruito due forni in giardino è passato ai fatti e ha aperto la sua piccola pizzeria. Dove ha continuato la sperimentazione con nientepopodimeno che l’acqua dell’impasto fatta con la frutta fermentata.
“Lo faccio per dare un sapore diverso al mio impasto, non migliore degli altri, semplicemente diverso”. Io non so quanto apporto abbia dato al sapore, ma la pizza in sé e per sé era uno spettacolo. Un impasto di una scioglievolezza unica, realizzato con un mix di biga e poolish di cui non rivelo le percentuali perché Jin mi ha chiesto di tenerle segrete (ah, questi pizzaioli… dove vai vai, tutto il mondo è paese). Avrei voluto farvi vedere la cura con cui controllava la stesura dei suoi collaboratori per poi aggiungere i tocchi finali dopo la cottura: dall’olio EVO sul cornicione alle foglie di basilico (che tra l’altro avevano un’aroma e un gusto superlativi).
Nella penultima sera del mio viaggio avrei voluto ritentare il salto da Gira Pizza, ma mi arriva un messaggio sulla mia pagina Facebook da parte di un pizzaiolo che mi invita a provare la sua. “Non è molto lontana dalla pizzeria Salto”. Il nome della pizzeria è davvero bizzarro: Pizza³. Arrivo e individuo il locale con il bancone che dà direttamente sulla strada e il tavolo tutto intorno con gli sgabelli. Un po’ stile izakaya, ma altri posti sono all’interno e alcuni tavoli all’esterno. Ed è proprio per via della pizza che vedo su uno di questi che rimango perplesso: piatta, croccante, non sembra una pizza napoletana. Nel frattempo che decido se entrare o meno il proprietario, Ken, mi riconosce e mi invita.
Svelato l’arcano, e il nome della pizzeria. Per ogni tipo di pizza sul menù Ken offre ai clienti la possibilità di averlo in tre stili diffeenti: napoletana, romana e al taglio (ma mi conferma subito che la napoletana è la tipologia più richiesta). Non è un caso che abbia due forni allo scopo, impostati su temperature differenti. Io ovviamente opto per la napoletana, e per la prima volta ottengo una pizza molto più grande del normale, dal cornicione molto schiacciato e una maculatura fin troppo abbondante. Ma ci siamo sia col gusto che con l’impasto.
Ken comunque non si tira indietro di fronte alle sperimentazioni: il menù presenta anche qualche topping per venire incontro ai gusti taiwanesi. Mi mostra persino le fette di ananas essiccato, che in maniera scherzosa fa finta di non volere che io riprenda col cellulare. A dire il vero, io una pizza con l’ananas me la sarei mangiata più che volentieri, ma il banco di prova resta sempre la Margherita. Tra l’altro, me ne vado via dalla pizzeria con un regalo bellissimo (oltre al conto, che Ken ci ha tenuto a tutti i costi a non farmi pagare): un libro sulle pizzerie giapponesi. Una sorta di segno del destino, perché speravo davvero di imbattermi in qualcosa del genere in questo viaggio.
Un viaggio che per me ormai era giunto al termine. Il giorno dopo ho ancora un’abbondante giornata intera da godermi a Taipei, durante la quale avrei potuto tranquillamente raggiungere Gira Pizza. La giornata però scorre a rilento, mi lascio assorbire dalle ultime passeggiate, gli ultimi pasti taiwanesi, i caffè, le atmosfere di un sabato di festa… Insomma, mi perdo nella città, fino a spendere le mie ultime ore nel parco del monumentale mausoleo di Chiang Kai-shek, dove vedo calare il sole. Rimango avvolto dalle luci dei due stupendi palazzi del teatro e la sala concerti nazionale, a osservare i gruppi di ragazzini provare le loro coreografie nel luogo simbolo della propria passione artistica. Penso al privilegio di aver portato a termine questo viaggio organizzato così alla buona, e tutto quello che mi sto portando a casa. E decido che quella è la naturale, meravigliosa conclusione. Un po’ a malincuore, ma non avevo bisogno di altra pizza, né avrei voluto affrontare un viaggio scomodo senza darmi la tranquillità di un rientro privo di intoppi prima di andare all’aeroporto.
La mia scelta aveva un senso logico e spirituale. Non è bastata però a non farmi sentire uno schifo quando il pizzaiolo Amos Tu, il titolare di Gira, mi manda l’icona di un cuoricino spezzato per non esserlo andato a trovare. Proprio lui che era stata la mia prima scelta. Ma quel cuoricino per me ha significato altro: il fatto che, a distanza di tanto tempo, questo piccolo blog e i miei viaggi raccontati sui profili social ancora tengono viva l’attenzione di pizzaioli intorno al mondo che ci tengono a una mia visita per veder raccontata la loro pizza sulle mie pagine. È una cosa che mi riempie estremamente di orgoglio, di quello buono, non quello arrogante: il fatto che un piccolo narratore come me venga considerato degno di essere portavoce del lavoro di persone all’altro capo del pianeta, che a loro volta si fanno portavoce di una cultura così lontana dalla loro, mi dà un senso di scopo in quello che faccio. E voglio continuare a farlo.
Tornerò a Taiwan, come sono tornato in tantissimi altri posti. Mangerò la pizza di Gira, ma anche di Banco a Taipei, True Pizza a Taoyuan, Casa Pizzeria a Miaoli, We Pizzeria a Yuanlin e tante altre che meritano di essere scoperte e raccontate.
謝謝你,台灣!