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Di cosa parliamo quando parliamo di pizza napoletana

di Giuseppe A. D'Angelo
Pizza napoletana preparazione

A volte mi chiedo: ma quando parliamo di pizza napoletana di cosa parliamo?

Un blog come questo, in termini generici, rientra nella categoria dei food blog. Questi, a loro volta, si dividono in due tipi: blog di recensioni e blog di ricette (quando non lo sono entrambi). Capita che alcuni food blog decidano di accentuare la loro verticalità, ovvero concentrarsi su un solo specifico argomento. È il caso del blog che state leggendo, che ha come unico focus l’argomento pizza. Un argomento che negli ultimi anni ha catturato il cuore delle masse, e che ha visto la nascita di numerosi blog e pagine Facebook: in Italia ne contiamo un bel manipolo, già da me elencati tempo fa in un post sulla mia pagina Facebook, e che riporto nuovamente in calce a quest’articolo.

Anche l’argomento pizza però si presta a essere sviscerato in modo tale da essere suddiviso in micro-categorie. Alcuni di noi hanno infatti deciso di discutere della pizza in una sola, esclusiva declinazione: quella napoletana. Nel mio caso, il focus è ancora più accentuato, perché ho deciso di concentrarmi solamente sul vasto panorama della pizza napoletana nel mondo, lasciando ad altri blogger e giornalisti il compito (svolto in maniera egregia) di occuparsi del territorio italiano.

Ma, per tornare al titolo di questo post: tutti noi di cosa parliamo davvero quando parliamo di pizza napoletana?

No, non sono qua a snocciolarvi quelli che dovrebbero essere i requisiti tecnici-culinari-chimici-organolettici di una buona pizza napoletana. Non sto cercando di stilare un altro rigido disciplinare STG, che quello che c’è basta e avanza ed è già totalmente lontano dalla realtà dei fatti. No, la domanda è meno sulla forma e più sul contenuto, e me la sono posta poco prima di scrivere una recensione.

Quando recensiamo un locale, su cosa puntiamo davvero la nostra attenzione: sulla pizza, la pizzeria o il pizzaiolo?

La domanda è semplice, la risposta è più complessa di quanto non appaia. Eppure dovrebbe esserlo. Insomma, la pizza la fa il pizzaiolo, e il pizzaiolo lavora per la pizzeria. Se il pizzaiolo è bravo, la pizza viene bene e la pizzeria ha successo. Quindi, consideriamo tutti e tre gli aspetti.

Fin qui siamo tutti d’accordo. Ma darlo per scontato è un errore. Perché negli ultimi anni la comunicazione sul tema ha spostato la sua attenzione dalla collettività del locale all’individualità del pizzaiolo. Semplicemente dando voce a quello che era un assunto di base che a Napoli chiunque conosceva: se cambia il pizzaiolo cambia tutto.

Ecco come quindi sono cominciati a uscire nomi e cognomi, e i volti abbinati indelebilmente alle immagini di canotti, rote ‘e carretta e pizze gourmet. Molti sono diventati delle star assolute nel campo, grazie anche alla complicità dei social e delle agenzie di comunicazione. E non sto dicendo niente di nuovo, non voglio alimentare un dibattito già diventato sterile. Se volete la mia ritengo che sia giusto che una persona acquisisca notorietà per qualcosa che sa fare davvero bene. Si tratta della giusta ricompensa per tanto duro lavoro.

E non è un mistero che molte pizzerie subiscano dei veri e propri tracolli in termine di qualità quando perdono i loro pizzaioli di punta, laddove altre invece acquisiscono valore proprio in virtù di questo o quell’altro pizzaiolo (anche se questi passaggi durano poco: chi può, generalmente si mette in proprio). Quindi, tutto chiaro: pizza e pizzaiolo sono gli unici elementi che contano, la pizzeria è solo un marchio che ospita temporaneamente un nome. Dilemma risolto.

Pizza Salsiccia e Friarielli

Ma siamo proprio sicuri?

Il pizzaiolo di talento sicuramente determina il successo di una pizzeria. Ma chi è che lo assume? La pizzeria, per l’appunto. Utilizzo qui il termine per identificare collettivamente qualsiasi personaggio che si occupi della gestione del locale, che sia il proprietario o un direttore terzo. Sta a costui saper scovare e identificare il talento che occorre alla sua pizzeria. Sta a lui selezionarlo, curarlo, crescerlo, creargli un ambiente di lavoro in cui possa sentirsi soddisfatto e realizzato.

Anche il miglior pizzaiolo di questo mondo non potrebbe molto se la pizzeria per cui lavora non gli fornisce le risorse adatte per lavorare. E con questo, intendo qualsiasi cosa. Ingredienti di prima qualità. Assistenti svegli e attenti. Libertà creativa. Orari di lavoro umani. Qualsiasi cosa che permetta a un pizzaiolo (e in generale, a uno chef) di fare bene il suo lavoro. E se io vado a mangiare in una pizzeria dove so che lavora la pizza star Tal dei Tali e mi ritrovo a mangiare un prodotto di basso livello, di chi è la colpa?

D’altro canto, può anche succedere che un pizzaiolo lavori in un Eden che gli consenta di esprimersi al meglio delle sue capacità, e nonostante ciò decida di abbandonarlo. Vuole aprire una pizzeria sua, vuole cambiare carriera, vuole rinchiudersi in un monastero buddhista, chi lo sa. Non ci interessa. A noi interessa che quando torniamo a mangiare in quella pizzeria continuiamo a trovare la stessa qualità alla quale eravamo abituati prima che il nostro adorato pizzaiolo smontasse le tende. E indovinate un po’ di chi è questa responsabilità?

Esatto. Ancora una volta tocca alla pizzeria trovare il giusto sostituto, cercando quella persona che gli permetta di mantenere standard qualitativi alti e mettendolo nelle condizioni lavorative adatte per poterli raggiungere.

Quindi, in conclusione, di cosa parliamo quando parliamo di pizza napoletana? Parliamo di un trinomio inscindibile formato da pizza, pizzaiolo e pizzeria. Il prodotto si associa al nome, il nome al marchio e il marchio al prodotto, andando a creare una Trinità dove queste tre cose si evidenziano distintamente ma allo stesso tempo si fondono l’una nell’altra creando un unico. Chi segue è attento saprà che in quella tale pizzeria lavora tale pizzaiolo che fa tale pizza. Chi invece non è interessato ai dettagli sa semplicemente che quando si siede a quel tavolo mangia bene ogni volta. E alla fine il risultato finale è lo stesso: la soddisfazione del cliente.

Come ho detto, non è per niente un fatto scontato. I food blogger, i giornalisti, i critici gastronomici e chiunque scriva recensioni affrontano l’argomento nella maniera più disparata. Alcuni puntano l’accento sul prodotto, altri sul nome, altri sul marchio. Ma credo che tutti siamo più o meno consapevoli che non si possa prescindere da nessuna delle tre cose.

Pizza napoletana impasto

PS: Mi rendo conto che in questo post, nel parlare di pizzaioli e altre figure professionali, mi sono sempre espresso al maschile. Chiedo scusa se, così facendo, possa risultare maschilista, ma non è così: sono ben consapevole che ci sono moltissime pizzaiole così come numerose altre professioniste nella ristorazione. Purtroppo la nostra bellissima lingua italiana ha questa problematica, e quando ci si esprime in termini generici ci si può solo rivolgere al maschile. Io sono per il women power, comunque.

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1 commento

PizzaioloNapoletano Luglio 27, 2018 - 5:09 am

L impasto è composto da proteine insolubili , tali da non essere digerite ; entriamo nello specifico impastofatto con Farine forti e pochissimo lievito e tanto sale non fanno siche il glutine non si scompone ; risultato il glutine ingerito tramite la pizza assorbirà L Acqua del tuo Apparato digerente , attivando il bisogno di bere

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